Concetti Chiave
- Lucrezio, nonostante lo scarso numero di fonti sulla sua vita, è riconosciuto per il suo poema "De rerum natura", che diffonde la filosofia epicurea a Roma attraverso una forma poetica didascalica.
- L'opera "De rerum natura" si suddivide in sei libri che trattano di atomi, antropologia epicurea, cosmologia e fenomeni naturali, con l'intento di eliminare la paura della morte e della religione attraverso la conoscenza scientifica.
- Lucrezio critica aspramente la religione tradizionale, vista come fonte di superstizione e paura, e promuove la dottrina epicurea come via di liberazione morale e serenità.
- Lo stile di Lucrezio, caratterizzato da un linguaggio arcaico e innovativo, mira a persuadere il lettore attraverso una struttura argomentativa rigorosa e l'uso della poesia come veicolo per insegnamenti filosofici complessi.
- Nonostante il poema si concluda improvvisamente con la descrizione della peste di Atene, si ritiene che il "De rerum natura" non abbia ricevuto una revisione finale, lasciando aperto il dibattito sulla sua conclusione appropriata.
98-96 a.C. - 55 ca.
Vita e opera
Della vita di Tito Lucrezio Caro rimane poco o nulla: due righe di san Gerolamo ed un accenno (o forse due) di Cicerone, entrambi ideologicamente avversi alla dottrina epicurea e, perciò, quantomeno da considerare con ponderatezza.
Si è solitamente propensi a collocare la sua nascita tra il 98 e il 96 a.C. e la sua morte nel 55. Il silenzio su questo grande poeta e filosofo, che dovette provocare comunque un certo scalpore nella Roma di allora, è tuttavia emblematico della stigmatizzazione che dovette subire il De rerum natura, lontano com'era sia dagli allora in voga poetae novi di ispirazione alessandrina, sia dallo stoicismo eclettico di Cicerone, sia dall'esaltazione della politica attiva o della guerra fatta da Catilina e Cesare.
Nato nei burrascosi tempi della guerra civile fra Silla e Mario, probabilmente proveniva da Napoli o da Roma (dalla sua opera e dal modo in cui si rivolge all'aristocratico Memmio non si riesce però ancora a capire se fosse anch'egli un aristocratico oppure un liberto) e altrettanto probabilmente trascorse una vita tormentata da forti passioni, come si rileva in molti passi del "De rerum natura".
Va, tuttavia, respinta la teoria di San Girolamo riguardo la presunta follia di L. causata da un filtro d'amore: si pensa infatti che l'accusa sia nata nel IV secolo al fine di screditare la polemica antireligiosa del nostro poeta.Naturalmente venivano eliminati tutti i risvolti del pensiero greco pericolosi per la conservazione dello stato: non a caso Cicerone trovava un elemento di forte contrasto nella dottrina di Epicuro: l'epicureismo era visto come una dottrina che portava alla dissoluzione della morale tradizionale soprattutto perché, predicando il piacere come sommo bene, distoglieva i cittadini dall'impegno politico per la difesa delle istituzioni. Inoltre l'epicureismo, negando l'intervento divino negli affari umani, portava molti svantaggi anche alla classe dirigente la quale non poteva più usare la religione come strumento di potere. Poco si conosce riguardo la penetrazione dell'epicureismo nelle classi inferiori della società romana; probabilmente divulgazioni dell'epicureismo circolavano presso la plebe attratta dalla facilità di comprensione di quei testi e dagli inviti al piacere in essi contenuti.
Per divulgare a Roma la dottrina epicurea, Lucrezio scelse la forma del poema epico didascalico. Vi è, tuttavia, una contraddizione nell'agire di Lucrezio: se da un lato condanna la poesia per la sua stretta connessione col mito e per il fatto che può arrecare infelicità agli uomini, dall'altro ne fa uso per divulgare i principi della dottrina epicurea. Con la forma scelta da Lucrezio, così alta e grandiosa, per divulgare il suo messaggio si è pensato di dover spiegare anche l'atteggiamento di Cicerone nei suoi confronti: evidentemente Cicerone non poteva accettare gli ideali filosofici epicurei, ma forse è proprio l'eccezionalità della forma poetica che ha spinto Cicerone a non tenere conto di Lucrezio nella sua polemica all'epicureismo.
La filosofia di Lucrezio. *Religio: Il De rerum natura si apre con l'invocazione a Venere, dea dell'amore, unica a poter placare la sete di sangue di Marte, dio della guerra: Lucrezio vive i turbolenti anni della rivolta si Spartaco, della guerra di Gallia e forse anche delle ostilità fra Cesare e Pompeo, e vorrebbe un ritorno alla pace, ostacolata dalle ambizioni e dalla brama di potere della classe politica romana. La via che Lucrezio trova per affrontare i mali della vita è la dottrina di Epicuro, cantato come simbolo della ratio umana, che fuga i miasmi della religione e della superstizione e prende coscienza dello stato umano. All'inizio del poema Lucrezio invita il lettore a non considerare subito empia la dottrina che egli si accinge ad esporre, e a riflettere su quanto, al contrario, sia davvero crudele ed empia la religione tradizionale (emblema ne è il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone sacrificata dal padre per ingraziarsi gli dèi, o anche l'immolazione del vitellino e la descrizione della madre che lo cerca, disperata): la religione è in grado di sopprimere e condizionare la vita di tutti gli uomini immettendo nel loro cuore un seme di paura: ma se gli uomini sapessero che dopo la morte non c'è più nulla, smetterebbero di essere succubi della superstizione religiosa e dei timori che essa comporta. Si vede, quindi, già dai primi versi come Lucrezio offra un nesso tra superstizione religiosa, timore della morte e necessità di una speculazione scientifica per ovviare a questo timore: per lui, dunque, questi timori nascono dall'ignoranza delle leggi meccaniche che governano il mondo. Con parecchi secoli di anticipo su Marx, Lucrezio si accorge che la religione è l' 'oppio del popolo', e ha portato l'uomo a compiere azioni imperdonabili. L'accesa lotta alla religio è certamente la parte piú eterodossa della filosofia di Lucrezio: Epicuro non aveva cosí marcate tendenze atee, auspicava piuttosto un ritorno ad un culto piú semplice. Lucrezio si scaglia con ardore contro la religione, contro quella meschina invenzione umana che 'potè suggerire tanto male' (tantum potuit suadere malorum) e che con Epicuro si è trovata 'calpestata' (religio pedibus subiecta). I timori degli uomini di fronte alla morte e alla religione sono del tutto vani e analoghi alla paura dei bambini di fronte al buio.
*Natura: Per insegnare agli uomini come la dottrina epicurea possa servire da tetrafarmaco, e combattere cioè la paura per morte, malattia, dolore e dei, Lucrezio inizia la sua descrizione della natura. Tutto ciò che ci circonda è formato da piccolissimi granelli indivisibili, gli atomi, i semina rerum o genitalia corpora come li chiama il poeta per enfatizzare il loro originario ruolo di creazione. Ogni pianta, pietra, uomo è formato da atomi, e cosí persino l'animo umano; ed ogni cosa è destinata a nascere e disfarsi in eterno; solo gli atomi sono immortali e non i loro aggregati. In questo mondo, regolato dalle leggi meccaniche che governano le particelle elementari, c'è comunque spazio per la libertà: all'origine dell'universo c'è una deviazione del moto atomico, un clinamen, che ha dato il via alla formazione delle cose ed al gioco infinito della natura.
*Morte: Dopo aver descritto la natura della materia l'autore invita i suoi lettori (rappresentati da Memmio) ad accettare la morte come qualcosa di ineluttabile e comunque esterna all'uomo: quando noi siamo non c'è morte, quando c'è la morte noi non siamo: invece di preoccuparsi della propria fine l'uomo dovrebbe occuparsi della vita e non sprecarla poltrendo od inseguendo stupide ambizioni (E tu esiterai, e per di piú t'indignerai di dover morire? Tu cui è morta la vita mentre ancora sei vivo e vedi e consumi nel sonno la parte maggiore del tempo, e pure da sveglio dormi e non smetti di vedere sogni, e hai l'animo tormentato da vane angosce, né riesci a scoprire qual sia cosí spesso il tuo male, mentre ebbro e infelice ti incalzano da ogni parte gli affanni e vaghi oscillando nell'incerto errare della mente - III, vv. 1045-1052).
*Sensi e amore: Il IV libro tratta dei sensi, della loro veridicità, di come possano essere turbati. I sensi, per Lucrezio, non fanno altro che captare dei flussi atomici particolari: sentiamo perché arrivano degli atomi alle nostre orecchie e vediamo perché ne arrivano altri ai nostri occhi. È dai sensi che hanno origine ogni forma di conoscenza e la ragione umana, non crollerebbe soltanto tutta la ragione, ma anche la vita stessa rovinerebbe di schianto, se tu non osassi fidare nei sensi (IV, vv. 507-8). Anche stavolta, dopo aver cercato di trasmette l'atarassia epicurea, Lucrezio si allontana dalla calma del suo maestro e descrive con profonda partecipazione quanto piú può turbare i sensi, le passioni amorose e carnali, a cui dedica i vv. 1026-1287, di cui diamo qualche saggio: Brucia l'intima piaga (l'amore) a nutrirla e col tempo incarnisce, divampa nei giorni l'ardore, l'angoscia ti serra, se non confondi l'antico dolore con nuove ferite, e le recenti piaghe errabondo lenisca d'instabili amori, e ad altro tu possa rivolgere i moti dell'animo (vv. 1068-1073); Infatti proprio nel momento del pieno possesso, fluttua in incerti ondeggiamenti l'ardore degli amanti che non sanno di cosa prima godere con gli occhi o con le mani. Premono stretta la creatura che desiderano, infliggono dolore al suo corpo, e spesso le mordono a sangue le tenere labbra, la inchiodano coi baci, perché il piacere non è puro, e vi sono oscuri impulsi che spingono a straziare l'oggetto, qualunque sia, da cui sorgono i germi di quella furia (vv. 1076-1083). Dopo aver condannato l'amore come sofferenza (v.vv. 1068-1074), furore (vv. 1079-1083), amarezza (v. 1134), rimorso (v. 1135), gelosia (vv. 1139 e segg.), cecità (v. 1153), miseria (v. 1159) ed umiliazione (vv. 1177-1179), Lucrezio cambia tono: "È proprio lei che talvolta con l'onesto suo agire, / l'equilibrio dei modi, la nitida eleganza della persona, / ti rende consueta la gioia d'una vita comune. / Nel tempo avvenire l'abitudine concilia l'amore; / ciò che subisce colpi, per quanto lievi ma incessanti, / a lungo andare cede, e infine vacilla". Appare diverso, teneramente malinconico, più paterno ("E spesso alcuni [...] trovarono fuori [di casa] una natura affine, così da poter adornare di prole la loro vecchiaia", vv. 1254-6). Personalità contrastata fra ratio e furor, Lucrezio, come scrisse Schwob, "conoscendo esattamente la tristezza e l'amore e la morte, continuò a piangere e a desiderare l'amore e a temere la morte".
*Civiltà e peste: Nel libro seguente il poeta descrive dettagliatamente la formazione del mondo e la nascita della civiltà: I re cominciarono a fondare città e a stabilire fortezze, per averne difesa e rifugio a sé stessi, e divisero i campi e il bestiame, assegnati a seconda della forza, dell'ingegno e della bellezza di ognuno (V, vv. 1008-1111), senza però cadere in tentazioni positiviste: con la nascita della civiltà nascono anche l'ambizione e la cupidigia, contro cui Lucrezio si scaglia con forza: Lascia dunque che si affannino invano e sudino sangue coloro che lottano sull'angusto sentiero dell'ambizione, poiché sanno per bocca d'altri e dirigono il loro desiderio ascoltando la fama piuttosto che il proprio sentire; né questo accade e accadrà piú di quanto è accaduto in passato (vv. 1131-1135). Insomma, Lucrezio pone molta attenzione sul progresso dell'uomo e ne delinea gli effetti positivi e quelli negativi. Tra questi ultimi ha molto rilievo il fatto che il progresso ha portato con sé una grave decadenza morale e il sorgere di bisogni innaturali. Epicuro aveva infatti prescritto di evitare i desideri innaturali e non necessari, e di badare solo al soddisfacimento di quelli necessari: gli unici requisiti essenziali per essere un uomo veramente felice sono il non provare la fame, la sete e il freddo. Bisogna abbandonare gli sprechi inutili per indirizzarsi verso i piaceri naturali. Anche nel discusso finale dell'opera, la descrizione della tremenda peste di Atene, il poeta si distacca dalla pretesa leggerezza dell'epicureismo, per immergersi completamente nella malattia e nelle morti: probabilmente l'opera non doveva avere questo finale (è comunque appurato che dovesse essere il sesto l'ultimo libro e non moltissimi versi alla chiusura del poema), mancando la descrizione delle sedi degli dei e la spiegazione di come l'epicureismo possa aiutare ad affrontare persino i mali piú oscuri come la peste; il passo rimane comunque emblematico del tormentato animo lucreziano, che in questa descrizione è piú vicino al gusto dell'orrido di stoici come Seneca o Lucano che non al calmo filosofo del Giardino.
*Politica: Seguendo gli insegnamenti del maestro Epicuro ('vivi al di fuori della sfera politica'), Lucrezio rifiuta la politica e vede in essa una fonte di affanni e di tormenti per l'anima umana. Il saggio deve, inoltre, abbandonare le inutili ricchezze e allontanarsi, poi, dalla vita politica, dedicandosi a coltivare lo studio della natura con gli amici più fidati, somma ricchezza della vita umana. Lucrezio sottolinea la vacuità e l'inutilità di ogni forma di potere: solo distanti dalla vita politica si può contemplare il mondo serenamente, e guardare tutto e tutti con occhio distaccato, così come è soave guardare dalla terraferma il mare in tempesta e gli uomini che vengono tormentati, compiacendosi dei mali da cui si è indenni.
Riassunto del De rerum natura. La più grande opera di Lucrezio, il De rerum natura, fu scritta in esametri e suddivisa in sei libri: probabilmente non fu finita o, in qualsiasi caso, manca di una revisione. Il poema è dedicato a Gaio Memmio, che fu amico e patrono di Catullo e Cinna. San Girolamo asserisce che il "De rerum natura" fu rivisto e pubblicato da Cicerone pochi anni dopo la morte di Lucrezio. La data di composizione non è sicura: probabilmente fu composta nel periodo successivo al 58, anno in cui fu pretore Memmio. Il motivo del poema, come spiega lo stesso Lucrezio, è la diffusione della filosofia epicurea a Roma; un'impresa ardua, tanto più per il fatto che la lingua latina aveva un vocabolario molto ristretto e Lucrezio si trova in difficoltà nel tradurre in latino parole greche centrali nella filosofia di Epicuro e deve ricorrere a perifrasi nuove, quali semina, primordia o corpora prima per designare gli atomi. Ma perché allora Lucrezio, per impartire insegnamenti filosofici, si avvale della poesia? Lucrezio spiega che come i genitori somministrano le medicine ai bambini cospargendole di miele per renderle meno sgradite, così lui intende fare con la filosofia: vuole cioè cospargere col miele delle Muse una dottrina apparentemente amara, che riduce l'esistenza dell'uomo al mondo terreno. Quest'idea, di sfuggita, è ripresa anche da Torquato Tasso in La Gerusalemme liberata , libro I : E che il vero condito in mille versi, / i più schivi allettando ha persuaso . Il poema è chiaramente articolato in tre gruppi di due libri (diadi): nel I libro, dopo l'inno a Venere, personificazione della forza vivificatrice della natura e immagine della contemplazione razionale della bellezza della natura, sono spiegati i princìpi generali della filosofia epicurea: gli atomi, le parti ultime della materia (indivisibili, immutabili, infinite), muovendosi nel vuoto infinito si aggregano in modi diversi e danno vita a tutte le realtà esistenti; interviene poi la disgregazione. Nascita e morte sono costituite da questo processo di continua aggregazione e disgregazione: a rigor di logica, spiega Lucrezio, nulla muore, nulla nasce e tutto si conserva. Alla fine del I libro Lucrezio fa una carrellata di teorie naturalistiche contrapposte a quella di Epicuro, confutandole una ad una: Eraclito, Empedocle, Anassagora. Nel II libro viene illustrata la teoria del clinamen, la caratteristica più originale di Epicuro rispetto a Democrito e Leucippo: il clinamen, ovvero la deviazione degli atomi dal loro corso, svolge due funzioni importantissime. Se non ci fosse, da un lato, il mondo non si sarebbe potuto formare: esso è infatti dato dallo scontro degli atomi e dalla loro successiva aggregazione, ma se essi cadessero verticalmente nell'infinito non potrebbero mai incontrarsi; con il clinamen, invece, per una qualche legge che sfugge al rigido determinismo, può succedere che qualche atomo si allontani dal suo moto verticale e vada a scontrarsi con altri atomi. La teoria del clinamem, poi, rende possibile il libero arbitrio dell'uomo, il quale è, per Epicuro e per Lucrezio, artefice del proprio destino: l'idea che nel mondo non tutto vada secondo necessità, secondo leggi rigidamente determinate è dimostrato dal fatto che gli atomi subiscano il clinamen (deviazione) e si scontrino, dando origine al mondo; viene così garantito un margine di libertà all'agire umano. Il III e IV libro costituiscono la seconda coppia che espone l'antropologia epicurea: il III spiega come l'anima e il corpo siano entrambi costituiti da atomi e, pettanto, entrambi destinati a morire. Tuttavia si tratta di atomi diversi: quelli dell'anima sono più leggeri e lisci. Il IV libro tratta la gnoseologia epicurea: entra in gioco la teoria dei simulacra , teoria secondo la quale alcuni atomi si staccano dall' oggetto conosciuto per colpire i sensi del soggetto conoscente. I simulacra , tra l'altro, servono anche per spiegare le immagini che vediamo nei sogni e sono anche all'origine della reazione dei dormienti di fronte all'immagine degli oggetti del loro desiderio. Lucrezio dà anche una celebre spiegazione della passione d'amore, spiegando come essa altro non sia che un'attrazione fisica, meramente materiale. La terza coppia di libri prende in esame la cosmologia: il libro V espone la mortalità del mondo (uno degli infiniti tra i mondi esistenti), analizzandone il processo di formazione. Lucrezio tratta anche, in questo libro, del moto degli astri e delle sue cause. Il VI libro, invece, si sforza di dare spiegazioni assolutamente naturali dei vari fenomeni fisici (i fulmini, i terremoti, ecc), estromettendone la volontà divina, che non influisce minimamente negli affari degli uomini. Sulla descrizione dei vari eventi catastrofici si innesta la descrizione della terribile peste scatenatasi ad Atene nel 430 e già narrata splendidamente da Tucidide, con la quale l'opera si chiude bruscamente. Ogni coppia si chiude con un quadro impressionante di dissoluzione. All'attacco di ogni libro, invece, c'è una celebrazione di Epicuro ( ille deus fuit ripete Lucrezio), del suo coraggio intellettuale e del suo ruolo storico (e qui Lucrezio evidentemente intende il riferimento anche come rivolto a se stesso). Come detto, il "De rerum natura" probabilmente non ha ricevuto un'ultima revisione: il poema avrebbe dovuto chiudersi con una nota serena, in corrispondenza con il gioioso inno a Venere, e non con il terrificante quadro della peste di Atene.
Domande da interrogazione
- Quali sono le principali fonti di informazione sulla vita di Lucrezio?
- Qual è il tema centrale del "De rerum natura" di Lucrezio?
- Come Lucrezio utilizza la poesia per divulgare la filosofia epicurea?
- Qual è la posizione di Lucrezio riguardo alla religione tradizionale?
- In che modo Lucrezio affronta il tema della morte nel suo poema?
Le principali fonti di informazione sulla vita di Lucrezio sono due righe di San Gerolamo e un accenno di Cicerone, entrambi avversi alla dottrina epicurea.
Il tema centrale del "De rerum natura" è la diffusione della filosofia epicurea a Roma, con l'obiettivo di liberare l'uomo dalla paura della morte e dalla superstizione religiosa.
Lucrezio utilizza la poesia come un mezzo per rendere più accessibile e attraente la filosofia epicurea, paragonandola al miele che rende più gradevole una medicina amara.
Lucrezio critica fortemente la religione tradizionale, considerandola una fonte di paura e superstizione che condiziona negativamente la vita degli uomini.
Lucrezio invita i lettori ad accettare la morte come un evento naturale e inevitabile, sottolineando che la paura della morte è vana e che l'uomo dovrebbe concentrarsi sulla vita presente.